DELITTO DI FERRO.

Racconto scritto da Andrea Camporese - Sottomarina di Chioggia - Venezia

CAPITOLO N. 1

Erano sempre lì come ogni giorno le rotaie della linea ferroviaria -Milano Venezia-.
I treni merci e passeggeri sfrecciavano uno dietro l'altro senza sosta in entranbi i sensi di marcia, e le stazioni erano più o meno affollate a seconda dell'orario.
Fuori delle città, a fiancheggiare le rotaie c'erano solo campi coltivati a cereali, ogni tanto delle colline, e a volte qualche paesino situato nei dintorni delle città più grosse.
I frutteti erano in fiore e i campi, già pronti a donare agli agricoltori i loro prodotti, emanavano un buon profumo di terra bagnata dalla rugiada mattutina.
Nelle campagne tra Verona e Brescia, c'era una cascina lontana dalla ferrovia appena una ventina di metri, abitata dalla famiglia Abate, formata da marito, moglie e due figlie, Alessia e Francesca.
Alessia, la più grande, benchè tredicenne, aveva sempre fatto da seconda mamma alla sorella più giovane, e molto spesso la accudiva quando i genitori si assentavano per qualche ora.
Anche Francesca era molto attaccata alla sorella maggiore, tanto che ogni volta che accadeva qualche guaio in casa del quale Alessia era responsabile, Francesca la difendeva sempre e comunque andassero le cose.
Quella sì che era una famiglia felice; due coniugi che si amavano, due sorelle che andavano perfettamente d'amore e d'accordo, e con la passione di allevare animali da cortile, e di dimorare nel silenzio campagnolo, rotto soltanto dal canto degli uccelli e dallo sfrecciare dei treni, la quale legava tutti equattro.
Si era levato il sole da poco quel mattino, quando nella cascina cominciò la vita di tutti i giorni.
Tutta la famiglia si preparava per il lavoro e per la scuola e, come sempre il padre Luca, accompagnò le bambine a scuola mentre la moglie Ilaria si affrettava a sbrigare alcune faccende domestiche prima di filare al lavoro, come avrebbe fatto il marito subito dopo aver accompagnato le figlie.
Quando nella cascina non c'era nessuno, si udivano solo gli uccellini cantare e volare liberi sopra i campi e tra i frutteti, e i versi degli animali nel pollaio.
Tranne quello, i soliti treni, e circa ogni quarto d'ora qualchemacchina che passava lungo la strada che si trovava dall'altro lato della ferrovia; strada che bisognava percorrere inevitabilmente per arrivare alla cascina, si era immersi in un silenzio irreale, che non faceva certo pensare alla città di Brescia, distante da lì una ventina di km, dove regnava un via vai di mezzi di trasporto e di persone blateranti che camminavano lungo la piazza principale.
La cascina era attorniata da un meraviglioso giardino che comprendeva un orto, un pollaio, e un grande spazio in cui si poteva allestire una tavolata per una trentina di persone.
Le bambine avevano due altalene alte e robuste; robustezza non dovuta al loro peso, inquanto erano mingherline entrambe e non eccessivamente alte.
Al ritorno da scuola le due sorelle trovavano sempre la madre ad aspettarle con il pranzo già in tavola, mentre il padre, non avendo a disposizione due turni di lavoro con la pausa al centro come la moglie, non era quasi mai presente in quell'orario.
Tutti i giorni tranne la domenica era così, ma alle bambine piaceva un mondo questa situazione, perche' sapevano che il padre sarebbe stato disponibile alla sera.
Dopo il pranzo e un'oretta di riposo, per le due sorelle era solito svolgere i compiti per casa, prima di andare a giocare nei pressi delle rotaie, luogo in cui non mancava mai un periodo di divertimento giornaliero.
Circa cinque minuti prima che Alessia e La sorella andassero a giocare nelle vicinanze dei binari, un lungo treno merci filava via come un razzo in direzione di Milano; cosa alquanto normale per loro due che di treni ogni giorno ne vedevano a decine, ma quella volta qualcosa di diverso stava per accadere.
Andando verso i binari, sembrò loro di scorgere qualcosa di strano adagiato al fianco destro di una rotaia.
Avvicinandosi sempre più, sembrò prima un sacchetto della spazzatura, poi una coperta o una tovaglia che avvolgeva qualcosa, e ancora più vicino, circa a una decina di metri, apparve come un animale ucciso dal treno.
Quello che si vedeva non era molto chiaro perche' la ferrovia correva un po' più elevata del livello della cascina, e quindi l'unico modo di scoprire di che cosa si trattasse era quello di arrampicarsi per una piccola scarpata.
La ferrovia era fiancheggiata dai ciotoli, i quali si trovavano anche tra una rotaia e l'altra.
Quelli che correvano a lato dei binari, ogni tanto venivano interrotti da dei platani che si alternavano a dei pioppi che in quel periodo sfoggiavano un'intensa fioritura, e le foglie in fase di crescita degli stessi alberi, cominciavano già a donare una lieve ombra che regalava a quel luogo un tocco di magia.
Le due bambine ormai si trovavano ad un paio di metri dalle rotaie, immerse in quel paesaggio spettacolare.
Proprio appoggiato al fianco esterno della rotaia destra, scorsero tutt'altro che un animale ucciso dal treno, una tovaglia che avvolgeva qualcosa, o un sacco della spazzatura, bensì un corpo apparentemente di un uomo, falciato esattamente a metà in lunghezza di sicuro dal treno merci passato di lì poco prima.
Subito indietreggiarono per un paio di metri, e poi rimasero impietrite con gli occhi fissi su di esso, mentre un treno passeggeri correva sulla stessa rotaia alla quale era adagiato il corpo, falciandone di netto la testa che era rimasta appoggiata alla rotaia dal precedente scontro.
Dovettero passare altri due treni entrambi diretti verso Milano per risvegliarle, e tornarono a casa.
Riuscirono a stento a parlare per spiegare alla madre l'accaduto; tanto a stento che le riusciva difficile credere a tutto quello che dicevano, ma l'espressione che mostravano i loro volti non poteva che confermare il loro racconto.
Poco dopo tutte e tre si recarono sul posto per verificare la cosa.

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lunedì 06 novembre 2000 10.24.08